Stefania di Lino nega il verso nel
senso tradizionale del termine e crea un modo originale di collocare le parole
sul foglio. Il verso, perché tale è, non è definito da un “a capo” ma da un
segno grafico singolo o doppio che dona respiro non solo alla lettura ma al
senso stesso della poesia[1].
Il
breve estratto ripreso dalla prefazione della poetessa Cinzia Marulli alla raccolta La
Parola Detta di Stefania di Lino
ci fa ben intendere che, prendendo in mano il piccolo libro dalla copertina
bordeaux, ci troveremo dinanzi ad una poesia innovativa, un po’ fuori dagli
schemi e con una disposizione ben diversa dei periodi e delle parole ma, a
dispetto di quanto si possa credere, essa è proprio per la sua singolarità,
poesia a tutti gli effetti. I segni che difatti accompagnano la disposizione delle
parole (non di certo canonica) e che potremmo definire come pause-cesure
singole (/) o in alcuni casi doppie (//) invitano il lettore a riflettere, a
prendersi il giusto tempo per analizzare quella parte della poetessa e del suo
mondo che tocca punte spesse di dolore-ricordo
per poi andare direttamente al futuro.
Il primo tema che ho avuto modo di percepire leggendo uno dei componimenti all’apertura
della raccolta è proprio la consapevolezza dell’errore. La poetessa, con la sapienza di chi ha un forte vissuto
alle spalle ci dice: conosco sin troppo
bene le rotte che/conducono nei porti sbagliati/è quando tutto duole/ e senti
persino il rumore/di una foglia che cade/ allora ai poeti è dato lo scavo della
tana. Il termine tana andrebbe dunque a confermare-riconfermare ciò che da
tempo la letteratura e la critica sostengono: la poesia può essere vista come
rifugio? Come una tana sicura in cui il poeta costruisce una propria dimensione
attraverso l’utilizzo della parola scritta? Ancora, non ho potuto che
apprezzare in particolar modo un verso riproposto dalla Di Lino che ci induce
ad una riflessione corposa: il morire
vero è laddove non è stato mai amore. Dunque la poetessa introduce un
duplice gioco: il valore dell’eternità collegato al sentimento: senza l’uno non
può esistere neanche l’altro e viceversa. L’uomo, con tutti i suoi limiti è
destinato a fare esperienza di morte solo e quando viene meno l’antico
pilastro, il motore pulsante di tutte le cose: l’amore. E cosa dire del tema del ricordo, ampiamente presente
nella raccolta e del suo trasmutarsi di mano in mano, di testimone in
testimone? Egli è vincolato all’egoismo(?) del tempo e alla sua privazione: ecco il tempo in cui/ il ricordo passa/ di
mano in mano/ passa/ come un testimone/ (di mano in mano)/ il ricordo perde/
cedendo ogni volta/ all’oblio di qualcosa. In un altro componimento è
invece forte il senso di libertà-ripresa
in cui la poetessa immagina probabilmente delle parole ergersi dal fango per
andare verso il cielo e al vento e per far sì che ciò accade leggiamo nel
componimento: che talvolta le radici
vanno recise/ talvolta/ e lasciate a marcire nel buio cavo di un rancore. Ciò
che è importante notare è come nella poesia di Stefania non vi sia mai una
netta definizione dei sentimenti. Nessuna sensazione è positiva o negativa,
nessun colore è indice di gioia o dolore, ogni cosa ha un proprio tassello, un proprio
posto a compone il grande puzzle-percorso chiamato vita; un vita fatta anche di
speranza quando leggiamo: avremo ancora
sguardi/ da donare al mondo/ e gesti protesi all’amore/ avremo ancora bocche/
da cui far sgoargare/ come bambini sorrisi. Tanti e svariati sono i temi
della raccolta di Stefania di Lino, il cui centro propulsore è però la parola.
Una parola viva, attiva, reale e pratica che però, allo stesso tempo diviene “muta”
perché caratterizzata da “silenzi necessari” parti integranti di questo grande
gioco-percorso a cui tutti siamo invitati a partecipare.
Recensione di Mariano Ciarletta
Ecco
il tempo in cui / il ricordo passa / di mano
in
mano / passa / come un testimone / (di mano
in
mano) / il ricordo perde / cedendo ogni volta /
all’oblio
qualcosa / prosciugatezza di parole / quasi
fosse
partita pari e patta / che non abbia come posta la
vita
/ se non fosse che sulla fronte / coli il sudore / di
una
guerra mai finita / e di disfatta / e allora saranno
i
poeti pessimisti / quelli seri severi / i maledetti / neri
come
gatti neri / ad incendiare le notti / a dar fuoco
ai
pensieri,
Stefania di Lino, La Parola Detta, Milano 2017, edizioni la Vita Felice.