domenica 19 maggio 2019

François Nèdel Atèrre, Limite del Vero, poesie - Recensione di Mariano Ciarletta





Se un’influenza di letture dell’altro secolo è palpabile, questa non può essere vista come un elemento negativo o frenante. L’autore maneggia il materiale poetico con una naturalezza e con una profondità necessarie a fare dell’ottima poesia, interessante, moderna intelligente[1].

Leggendo questi pochi versi facenti parte della prefazione alla raccolta Limite del Vero, curata da Giulio Maffii, si può subito costatare come siano, fin da principio, accostate due frasi pienamente in antitesi tra loro: un’influenza di letture dell’altro secolo che, prendendo come spunto l’invocazione alla musa all’apertura della silloge di François Nedel Atèrre ci riconduce, probabilmente, ad un interesse e ad una lettura approfondita che, lo stesso autore, deve aver compiuto verso le opere classiche e il fatto che, la poesia dell’Atèrre sia di fatto moderna. Dunque, fin da principio, viene messa in risalto (a ragione) la grande abilità del poeta in questione, ossia la capacità di sapersi districare tra elementi classici e moderni, tra richiami del passato e autentica modernità. Sembra quasi di vederlo, di vedere la sua devozione verso la fatidica musa-poesia (?) quando egli scrive: Io ti ho onorato ogni giorno/ il capo chino, le spalle basse del guardiano/ alla vestale/ciascun grappolo di bacche/ho cantato, vivifico e viola, nascosto/in un terreno incolto. I termini utilizzati oscillano tra un connubio di classicismo e modernità segno che, la poesia, quella che intende probabilmente l’Atèrre è una sola, indiscutibile ed indissolubile: essa parla di nodi di segreti che vanno sciolti, forse fidarsi degli “orsi schivi” e darli in pasto a quest’ultimi: bisogna sciogliere il nodo di carta/dell’ultimo segreto/darlo in pasto/agli orsi schivi/ alle cince affamate, per poi proseguire al tempo andato, quel tempo che si gusta e forse si valuta soltanto all’imbrunire e che si fa testimone tramite odori ed immagini che l’autore, con la sua poesia, rende alla perfezione: A sera - /il tempo nostro sfatto, andato/ Sarò l’odore delle sedie, il sole caduto sul terrazzo, il legno chiaro/del tavolo da pranzo. Ancora continua il susseguirsi dei fotogrammi-poesia quando il poeta parla di una “nuova primavera” di un seme che è lì per esserci, per esistere nel grembo di una fredda sera: Nel grembo della sera, ancora freddo, c’è il seme di una nuova primavera. Dunque c’è attesa e l’attesa si rende protagonista anche in altri versi dell’Atèrre, come una presenza voluta e silenziosa e che poco più avanti, di fatti, troveremo: Aspetto, nel silenzio, il dono incerto/del tuo portone aperto solo a mezzo/per breve fuga o cauto rincasare; ancora, nella sezione Il nome che ti ho dato: Credevo di sentirlo, il passo svelto/ tuo sulle lastre di pietra per strada/ tra l’erba e il ghiaccio. Si era fatta sera. Ma ecco che all’attesa, forse umana (?), giunge la risposta dalla dimensione naturale che è ben presente: La pioggia aveva camminato, invece,/al posto tuo, fino all’uscio di casa./ La tua voce e la tua febbre, sui gradini. Interessante è anche la presenza- tema della luce che chiarisce ed è portatrice di verità: il sole, con i suoi raggi, di cui l’autore fa scoperta: E sa venire all’umido del muro/il sole che era nascosto in giardino./ Niente di quello che era tuo è rimasto/con il mattino, e quante cose ho visto. La raccolta di François Nèdel Atèrre è dunque una silloge dai temi plurimi di cui, in questa recensione, ne sono stati presi solo alcuni, un lavoro a mio parere organico che necessita più di una lettura, approfondita e ripetuta proprio perché ad ogni pagina la luce, di cui parla lo stesso Atèrre, ci farà scoprire nuove sfumature di significato.

Recensione di Mariano Ciarletta 

Credevo di sentirlo, il passo svelto
tuo sulle lastre di pietra per strada
tra l'erba e il ghiaccio. Si era fatta sera.

La pioggia aveva camminato, invece,
al posto tuo, fino all'uscio di casa.
La voce e la tua febbre, sui gradini.

François Nèdel Atèrre, Limite del Vero, La Vita Felice, Milano 2019, p.25.

 


[1] Limite del Vero, dalla prefazione di Giulio Maffii.

mercoledì 8 maggio 2019

Manuela Minelli - Contro Versi, Poesie prêt-à-porter - Recensione di Mariano Ciarletta.





L’uomo non può scoprire nuovi oceani se non ha il coraggio di perdere di vista la riva (André Gide), Pensa, credi, sogna e osa (Walt Disney). Si apre in questo modo la raccolta di poesie di Manuela Minelli, con due frasi che sposano alla perfezione il contenuto che ci troveremo ad analizzare, pagina dopo pagina, in Contro-Versi, Poesie prêt-à-porter; una silloge nuova e originale non soltanto per il modo in cui è scritta, ma anche per la profondità e l’originalità con cui sono trattate le numerose tematiche presenti; da quella più generale (l’amore, in tutte le sue sfaccettature), ad altre che, nello specifico, riguardano la società romana in cui la poetessa  ancora oggi vive, fino ad arrivare ad eventi che hanno caratterizzato il mondo contemporaneo e che, oltre alla poesia della Minelli, riguardano direttamente e indirettamente noi tutti. La poesia minelliana, dunque ha sì del personale, “dell’intimo”, ma è anche una poesia volta “all’altro” e dunque, come memoria storica, si fa garante e conservatrice di temi preziosi. Così inizia il percorso di Manuela, forse con una presa di consapevolezza nei confronti del potere dell’amore, colto nella sua realtà nuda e cruda; non ci sono favole, campane e farfalle nello stomaco, bensì vi è una realizzazione di quanto questo sentimento possa cambiare una persona, arricchirla-impoverirla e forse plasmarla a suo piacimento, nel bene e nel male: Non posso competere con l’Amore/non posso/ Mi ha preso in un attimo e mi ha scavato l’anima/devastandola/strappando via certezze e convinzioni/ il lavoro di una vita/ come ruspa che scalza via zolle di terra. Forte dunque è il senso di impotenza che emerge dai versi e, probabilmente, anche l’essere impreparata a certi eventi che, il sopracitato sentimento, porta con sé: l’amore mi ha colto di sorpresa/ perché troppo tesa a soffiare sulle ceneri di un altro/ per disperderne rapidamente il ricordo. Originale è anche la visione dell’amore nella sua brevità che, spesso, causa contusioni al cuore e che, a quanto leggiamo, è inevitabile: ho inciampato dritta dritta dentro un bacio lungo il tempo di uno schioppo/ Non mi feci molto male/ solo il cuore un po’ contuso. Ma l’amore nella raccolta di Manuela è anche rinascita, pulsione, origine luminosa che nasce da quell’unione tanto attesa, forse dal reale desiderio, spesso mancato, di compensarsi: Insieme saremo luce divina/l’origine antica/scintilla potente/ che illumina il mondo. Fino ad arrivare ad una fine che genera sorpresa, forse stupore e che porta con sé una manciata di domande, come ben leggiamo nella poesia Fine: Perché succede questo?/ Cos’è stato?/ che c’ha portato via/ tutto il creato? Nella seconda sezione della raccolta, racchiusa sotto il titolo di Azzurro (riferimento al V Chakra), Manuela Minelli si occupa di temi più complessi. Tra questi, spicca il suo elogio alla natura con riferimenti a se stessa (Ninfe), il rispetto verso i tesori che questa offre all’uomo (Senza Acqua), l’ammirazione verso le più piccole creature, eppur essenziali per mantenere quel perfetto equilibrio naturale (Pesciolini), fino ad arrivare ai toccanti versi racchiusi in Nera è l’acqua del mare in cui vi è il rinnovo all’abbraccio, all’accoglienza e alla conoscenza della sofferenza umana di cui, testimone, sono appunto le onde nere della notte: nera di notte/ nera di vita in fuga per nascondersi dalla guerra/ ai fucili/ alla fame/ alle bombe. La raccolta continua, le pagine scorrono tra temi che vanno dal personale fino al sociale e sui tante sarebbero le riflessioni da fare. Bisognerebbe leggerla più volte e più spesso per assaporarla davvero, per cogliere il meraviglioso mondo, l’abbraccio sincero, l’apertura all’amore di cui Manuela si fa portavoce con la sua poesia, il suo meraviglioso altruismo e il suo amore per la vita.

Recensione di Mariano Ciarletta


Cerco un vano conforto
alla partenza,
affogo il dolore
nel fritto di paranza.

Di lacrime a pozze
mangiando le cozze.
Un poco consolata
attacco l'insalata.

Col cuore ferito
mi lecco l'ultimo dito.
Per niente delusa
ti saluto Lampedusa.


Manuela Minelli, Contro-Versi, Edizioni Progetto Cultura.