domenica 28 ottobre 2018

Maria Pia dell'Omo - Corpo di Dolore - recensione di Mariano Ciarletta




Ho avuto il privilegio di leggere in anteprima alcune poesie, tratte dalla raccolta ancora inedita, di Maria Pia dell’Omo corpo di dolore. Il titolo è un preludio di ciò che andremo a leggere e ci svela, senza troppe premesse, il filo conduttore che, verso dopo verso e pagina dopo pagina, farà da guida per tutta la raccolta. Quello di Maria Pia dell’Omo non è un dolore affine a ciò che spesso si legge in numerose sillogi: non si parla infatti di amori infranti, incomprensioni, notti trascorse a scrivere pur di testimoniare un’insoddisfazione dell’anima. No, nelle poesie della dell’Omo emerge una sofferenza quotidiana e fisica tessuta di giorno e resa ancor più viva dalla notte, un cimentarsi nella prova a 360 gradi che non lascia spazio a una potenziale quiete e a cui neanche le parole e le grida possono essere testimoni sufficienti, talvolta adatte: Di questo mio male raro/ ho nascosto le parole/ negli occhi straziati/ dalla nuvola/ di pianto. Ed ecco che, improvvisamente, la dell’Omo desidera spogliarsi, forse diventare un tutt’uno con la natura pur di perdere almeno un grammo, un fardello del suo dolore: nuda, su una prateria/ ero pronta allo scortico/ dei sassolini, della terra secca/ delle radici aride./ Giacevo, nuda, pronta/ a custodirmi il cielo negli occhi/ il suo azzurro/ prima di irrigare la terra di pianto/. Forte è dunque il senso della battaglia al dolore a cui anche la natura sembra essere per certi versi indifferente, quasi spettatrice e poi finalmente giunge il pianto liberatore che, pulsante, si configura come unico sfogo per poter sopravvivere al martellare quotidiano. La sofferenza è così reale da averla privata anche di alcune parti del suo corpo e a cui la stessa poetessa ha reagito sempre con scudo e lancia, combattendo e adattandosi: Mi mancano i miei capelli/ Cioè mi piaccio anche da maschio/ è che non l’ho scelto io/ Erano mossi, disordinati e vaporosi/ e a me piacevano così. Non vi nascondo che leggendo questi versi ho provato una forte commozione e ho capito come, a volte, essere poeti non è una scelta bensì il frutto di una battaglia che solo alcune spalle possono sorreggere e la dell’Omo ne è la prova.

Recensione di Mariano Ciarletta



Di questo mio male raro
ho nascosto le parole
negli occhi straziati
dalla nuvola
di pianto.
Fa solo ombra - dicevo - ma dietro
                                    c'è il sole - m'ingannavo

Nuda, su una prateria
ero pronta allo scortico
dei sassolini, della terra secca,
delle radici aride.
Giacevo, nuda, pronta
a custodirmi il cielo negli occhi
- il suo azzurro -
prima di irrigare la terra di pianto.


Maria Pia dell'Olmo - poesia tratta da Corpo di dolore.

giovedì 18 ottobre 2018

Il non ero preparata di Melania Panico - La Vita Felice 2018 - collana Agape 177




Conoscevo già Melania Panico sul web. Le sue poesie sono state pubblicate su riviste e siti specializzati nella poesia e, da subito, hanno catturato la mia attenzione. Dunque, quando ho saputo che avrebbe pubblicato la sua prossima raccolta “Non ero preparata” con la casa editrice La Vita Felice, non ho potuto farmi scappare questa opportunità. Il titolo mi è da subito piaciuto specie perché i poeti si sentono spesso preparati e pronti ad esternare il loro mondo interiore. Il presentarsi di Melania Panico, oserei dire i punta di piedi, è invece l’esempio di come debbano essere i versi a parlare. Lei forse non è preparata ma, dopo aver letto accuratamente la raccolta, posso assicurarvi che i suoi scritti lo sono. Come si legge dalla quarta di copertina: non ero preparata affronta temi quali il dolore, il perdono, il ritorno attraverso una concezione assoluta della parola poetica e a catturare l'attenzione del lettore sono soprattutto gli oggetti, spesso rievocati nei versi, che fanno parte del tutto: esseri animati dotati di un loro senso, un filo rosso conduttore in un percorso poetico, una presenza costante. Come si legge nel verso: il dolore della finestra che dice addio e ancora: l’andare lento che viene paragonato ad una roccia cosciente, smagrita. Sono solo alcuni esempi di come i versi della Panico si carichino di una loro anima, tra il naturale, lo statico e un sapiente gioco di ambienti interni ed esterni. Così anche corolle, radici e fiori stanchi sono ciò che ne deriva dal test del silenzio e diventano un tutt’uno con quest’ultimo quasi la componente naturale sposi quella psicologica per giungere, forse, ad un’inaspettata quiete (vera o no) che non è mai salvezza, ma testimonianza di percorso di ricerca: la maestà della neve bianca ne fa da cornice a questo straordinario percorso di vita.

 Recensione di Mariano Ciarletta


Alle sette il sole non sorge in tangenziale
un uomo mi sorride dall’auto accanto
ha gli occhi spenti, respira in silenzio
poi torna al suo buio
io conservo un odore nelle mani
come un rosario avviato – scomposto
mi sono chiesta tante volte cosa mi conduce
cosa mi concede, il nostro affanno
la maestà delle neve bianca come risposta.


Melania Panico – Non ero preparata – Agape 177 – La Vita Felice.