venerdì 18 gennaio 2019

Giuseppe Vetromile, Il Lato Basso del Quadrato - Recensione di Mariano Ciarletta.





Quando ci sono troppe porte davanti a noi, è sempre arduo capire quali siano quelle giuste da aprire, o quell’unico uscio da tentare. Gli elementi che ci distraggono sono numerosissimi, e sono sassi che intralciano il cammino; sono figure geometriche dotate di un fascino particolare, che attraggono e distolgono dall’andare. Questo è ciò che leggiamo dalla quarta di copertina in cui è contenuta l’introduzione, curata dallo stesso Giuseppe Vetromile, alla sua raccolta Il Lato Basso del Quadrato, nient’altro che una splendida metafora, richiamo del rigore geometrico, che però non si basa su uno schema definito, un percorso schematizzato o scontato. I temi che vengono riproposti dal Vetromile, invece, sono caratterizzati non sono da un singolare spessore, ma da un aspetto che, sintetizzando, potremmo definire quasi “plurimo”, un’analisi di quegli elementi che, lo stesso autore, definisce come infiniti, quotidiani, sovrabbondanti e ridondanti e questo è un indizio chiaro di come il poeta avverta quella necessità pulsante di tornare ad una reale purezza primigenia, libero da quei fatti che distolgono, confondono e impediscono le giuste valutazioni da prendere nella vita. Il Lato Basso del Quadrato, dunque, potrebbe essere un semplice punto di osservazione, una parte necessaria per comprendere, dal basso, ciò che nella vita deve essere necessariamente osservato, ciò che realmente preme, in positivo e in negativo, alla nostra conoscenza: La parte bassa del quadrato è un lato sottilissimo/umile inerte/ e sta fermo dall’eternità delle legge/ a sorreggere le sorti della buona geometria. E ancora, torna sempre quella meravigliosa pluralità di temi ed ecco che, il lato basso del quadrato diventa, Per Giuseppe Vetromile, qualcosa di altamente personale: La parte bassa del quieto vivere o ancora la parte bassa di me è questa città nel mio ventre/ recinta di indigesti gonfiori/ che più non vanno/ né su né giù/ e soffocano in gola l’urlo del perbene. Altro tema presente è quello dell’eternità. Il Vetromile, con schiettezza, dice di non essere mai riuscito a trattenere il tempo e di pregare perché torni quell’attimo probabilmente non afferrato, fuggito via: Non sono mai riuscito a trattenere l’ora fra le mie mani/: sempre qualche minuto sgocciolava via perdendosi irrimediabilmente nel mucchio delle ere/ e prego in continuazione/ che ritorni l’attimo indietro nel petto. Ma poi, ecco nell’autore il maturare la triste e saggia consapevolezza del procedere inarrestabile del tempo: Nessuno può enumerare/ nessun nome/ nessuna alba. Altrettanto importante è la concezione del fato che viene analizzata, con profonda maturità nella raccolta. L’autore è infatti consapevole che il fato è parte integrante del suo percorso, sorpresa di vita, ma anche riscossione e domanda di ciò che è stato fatto: il fato è dietro la porta a chiederci un’improvvisa baraonda/ che scuota la nostra pelle come da campana solenne/ il suono diretto e caro ai timpani/ e all’anima. Leggere la raccolta di Giuseppe Vetromile è dunque un modo per capire la corretta posizione del “lato basso del quadrato”, un collocarsi nell’osservazione e allo stesso tempo stare dentro e fuori al percorso della vita.

Recensione di Mariano Ciarletta



Non entra la ragione in questo breve spazio di luce
cunicolo tra una preghiera e un altro affanno
non entra l’evidenza di un teorema euclideo
nel cerchio ambiguo della vita


: da una morte non si ricava l’equazione del cosmo
e il sogno continua all’infinito
come sparlando di questa verità di bocca in bocca


Ho con me una tabella
mia cara
per calcolarmi i passi esatti lungo il crinale
o lo sbattere giusto delle ali
verso il cielo


: così        almeno       l’illusione è perfetta
quanto la felicità di un’addizione


ma è tutto vano
:ho compreso il gioco della materia
in questi laterizi abbandonati


Nessun grido nessun dolore
: il paese finto giace
sotto gli occhi stupefatti


e continuiamo mia cara a credere
che tutto stia solo ora
ad iniziare



Giuseppe Vetromile, Il Lato Basso del Quadrato, La Vita Felice, Milano 2017.


mercoledì 2 gennaio 2019

Rito Mazzarelli, un posto che sia il tuo posto - RP Libri - Recensione di Mariano Ciarletta.






Come riuscire ad essere fedeli a un libro? Come costruirlo e poi, come abitarlo, viverlo?

C’è un forte odore di vissuto nei versi che scorrono da pagina 7 a pagina 45 della raccolta Un posto che sia il tuo posto: una predilezione per attimi fatti di ricordi e tessuti insieme in un intreccio di temi che, solo continuando a leggere la silloge, può essere chiaro. In primis vi è la nostalgia. Essa prende vita negli oggetti e nei ricordi che caratterizzano la poesia di Mazzarelli: Ma il bacio non mancato non tornerà/ Tagliuzzo la cipolla e piove, piove/il pane è raffermo/io rimango fermo. Si respira quasi una stasi in questi versi, eppure, forte è anche il senso di mobilità, quella voglia/non voglia di ritornare al passato e, allo stesso tempo, la presa di coscienza: “ormai la clessidra ha fatto il suo tempo”. Ciò lo si legge soprattutto in un verso dell’autore: una sorta di addio, un’infinita nostalgia. Ancora, ben radicato è il tema nostalgico, forse marcato da un desiderio di annullare le distanze. Il mare, proprio nella seconda poesia, viene visto come metafora/consistenza di desiderio ma allo stesso tempo come emblema di lontananza: Ammiro il mare da lontano/ si agita come un desiderio e ancora Odo il suono che racconta distanze/ in questa notte di passaggi a onde. Ma se la nostalgia è forte, a questa il Mazzarelli collega sapientemente il tema amoroso, non come rivelazione, non come salvezza, bensì come guida-compagno nel cammino della vita. Questo è ben chiaro quando il poeta scrive: il tuo amore/ unico faro nel cammino in cui, lo stesso cammino è probabilmente anche una salita, un arduo procedere e in cui: lì ogni macigno/diventa leggero/ di pensieri liberi. Forte, nella poesia di Rito Mazzarelli, è la convivenza con il silenzio e, precisamente, la presa di coscienza di come, proprio nel silenzio, avvenga il mutare delle cose, una metamorfosi senza preavviso: Nel silenzio la mia pelle si trasforma/il dolore la ridipinge con l’autunno. Ed ecco che, improvvisamente, sempre nello stesso componimento, questo si trasforma e diventa non più indice di metamorfosi ma quasi un peso insostenibile, una gabbia: Tra queste mura abita invece il silenzio assordante/mi sgomenta/non vedo più orizzonti/la mia realtà è distante a questi versi non possono non essere citati i successivi in cui l’autore brama probabilmente una liberazione vista-sperata in un evento naturale: il silenzio si ripete all’infinito/mentre aspetto un’eco che mi porti via con sé.

 Recensione di Mariano Ciarletta 






Un posto che sia il tuo posto

e continuare

un luogo tranquillo al riparo

dai giorni in bilico tra le mani

solo cicatrici.

Corre lo sguardo nei piani

più in alto

corpi abbracciati fumano nervosi.

Ora migliaia di battiti inseguono

una bocca dal sapore insolito

e dimentico.

Andrai, strade vuote

rifletteranno vetrate

colore pastello

luci perdute tra le pozzanghere.


Rito Mazzarelli, Un posto che sia il tuo posto, RP Libri, novembre 2018.