lunedì 26 agosto 2019

Alla riscoperta delle nostre radici - Saffo - articolo di Nunzia Iannone







Alla  riscoperta delle nostre radici

Attualità, antichità, continuità: concetti posti molto spesso alla nostra attenzione che pur sembrando apparentemente in contrasto rivelano un legame profondo, sintesi di armonia che va sotto il nome di “classico”. Lungi dall’arrivare a definizioni  troppo inclusive o esclusive dell’idea di “classico”, preferirei considerare esso con un’immagine di un modo verbale, il Modo Indicativo esprimente realtà, certezza, concretezza, coniugato nel tempo “passato prossimo” che, come è noto, indica  per definizione non qualcosa di definitivamente concluso ma il risultato nel presente di un’azione passata  e di essa ne è diretta e naturale conseguenza.  Un classico dunque è a mio avviso  una sintesi perfetta di  un presente che accade, hic et nunc, e di un passato che  è espressione emblematica di  continuità : i sentimenti, le emozioni, le gioie, i tormenti dell’animo umano non sono gli stessi per ognuno di noi nonostante il trascorrere di un tempo edace che tutto porta con sé e segna incondizionato nella sua meccanicità l’inizio e la fine di ogni cosa? 
Sono uomo e tutto ciò che è umano mi appartiene e mi rende tale, diceva l’autore latino Terenzio.  Non c’è nulla di più umano, di più attuale, di più vivo che  ritrovare i propri sentimenti in quelli espressi nei  versi monumentali di Catullo,  di Ovidio, di Anacreonte  e rievocare con la mente e sentire col cuore immagini intrise di una straordinaria grandezza che sa di vita. La lirica di Saffo ne è un esempio evidente. Una donna, la poetessa di Lesbo, vissuta tra il VII e il VI secolo a.C.  e stimata  già dagli antichi per la sua straordinaria lirica oggetto di imitazione e modello di sublime.
Una figura da inquadrare sicuramente nella realtà storica e culturale del suo tempo in cui le donne aristocratiche erano inviate in comunità per essere preparate ed educate alla futura vita matrimoniale ma pur sempre una donna che, come tutte, ha vissuto, ha sentito e dunque ha compreso che l’amore non è “un affare” semplice, che esso ora è pronto a mostrare il suo lato tenero e dolce, ora  il suo lato più buio e doloroso di conseguenza all’abbandono, al tormento dell’imminente separazione e all’amarezza di non essere ricambiati , che la sofferenza provoca solitudine e  si carica dei silenzi di un paesaggio notturno, che un cuore affranto dal dolore si  affida a un aiuto  anche divino.  A chi non è capitato di provare quella sintomatologia amorosa, il tremolio, l’incapacità di parlare, il sentirsi sul punto di svenire?  È una voce, quella di Saffo, che parla in nome di  una comunità a  cui appartiene e che rappresenta, ne evidenzia i valori e gli ideali, ne racconta i lussi e sembra cercare risposta agli interrogativi dell’esistenza.
Leggere dunque i frammenti del suo cuore e rimetterne insieme i pezzi sulla base dell’ umano sentire è riscoperta di un’ attualità incredibile che invita a riflettere sulla natura dei sentimenti e sull’intramontabilità del loro valore  ma soprattutto ci pone di fronte a un consapevole senso di  appartenenza  a una donna che ha fatto del suo sentire poesia e della sua sublime parola “garanzia di immortalità”.

Di Nunzia Iannone

Avrei davvero voluto morire
quando lei mi lasciò in affannoso pianto
tra molte cose dicendomi ancora:
"Come soffriamo atrocemente, Saffo,
io ti lascio contro il mio volere."
Ed io a lei rispondevo:
"Va' serena e di me serba il ricordo.
Sai quanto ti ho amata.
Se mai tu lo dimenticassi, sempre
io ricorderò i bei momenti che vivemmo.
Quando di corone di viole
e di rose e di croco, accanto a me
ti cingevi il capo gentile,
e mettevi intorno al collo
ghirlande intrecciate di fiori.
E cosparsa di essenze profumate
sul morbido letto ti saziavi,
né mai vi furono danze
nei sacri boschi a cui fossimo assenti.
         Saffo, frammenti.


lunedì 29 luglio 2019

Stefania di Lino - La parola detta - Recensione di Mariano Ciarletta







Stefania di Lino nega il verso nel senso tradizionale del termine e crea un modo originale di collocare le parole sul foglio. Il verso, perché tale è, non è definito da un “a capo” ma da un segno grafico singolo o doppio che dona respiro non solo alla lettura ma al senso stesso della poesia[1].

Il breve estratto ripreso dalla prefazione della poetessa Cinzia Marulli alla raccolta La Parola Detta di Stefania di Lino ci fa ben intendere che, prendendo in mano il piccolo libro dalla copertina bordeaux, ci troveremo dinanzi ad una poesia innovativa, un po’ fuori dagli schemi e con una disposizione ben diversa dei periodi e delle parole ma, a dispetto di quanto si possa credere, essa è proprio per la sua singolarità, poesia a tutti gli effetti. I segni che difatti accompagnano la disposizione delle parole (non di certo canonica) e che potremmo definire come pause-cesure singole (/) o in alcuni casi doppie (//) invitano il lettore a riflettere, a prendersi il giusto tempo per analizzare quella parte della poetessa e del suo mondo che tocca punte spesse di dolore-ricordo per poi andare direttamente al futuro. Il primo tema che ho avuto modo di percepire leggendo uno dei componimenti all’apertura della raccolta è proprio la consapevolezza dell’errore. La poetessa, con la sapienza di chi ha un forte vissuto alle spalle ci dice: conosco sin troppo bene le rotte che/conducono nei porti sbagliati/è quando tutto duole/ e senti persino il rumore/di una foglia che cade/ allora ai poeti è dato lo scavo della tana. Il termine tana andrebbe dunque a confermare-riconfermare ciò che da tempo la letteratura e la critica sostengono: la poesia può essere vista come rifugio? Come una tana sicura in cui il poeta costruisce una propria dimensione attraverso l’utilizzo della parola scritta? Ancora, non ho potuto che apprezzare in particolar modo un verso riproposto dalla Di Lino che ci induce ad una riflessione corposa: il morire vero è laddove non è stato mai amore. Dunque la poetessa introduce un duplice gioco: il valore dell’eternità collegato al sentimento: senza l’uno non può esistere neanche l’altro e viceversa. L’uomo, con tutti i suoi limiti è destinato a fare esperienza di morte solo e quando viene meno l’antico pilastro, il motore pulsante di tutte le cose: l’amore. E cosa dire del tema del ricordo, ampiamente presente nella raccolta e del suo trasmutarsi di mano in mano, di testimone in testimone? Egli è vincolato all’egoismo(?) del tempo e alla sua privazione: ecco il tempo in cui/ il ricordo passa/ di mano in mano/ passa/ come un testimone/ (di mano in mano)/ il ricordo perde/ cedendo ogni volta/ all’oblio di qualcosa. In un altro componimento è invece forte il senso di libertà-ripresa in cui la poetessa immagina probabilmente delle parole ergersi dal fango per andare verso il cielo e al vento e per far sì che ciò accade leggiamo nel componimento: che talvolta le radici vanno recise/ talvolta/ e lasciate a marcire nel buio cavo di un rancore. Ciò che è importante notare è come nella poesia di Stefania non vi sia mai una netta definizione dei sentimenti. Nessuna sensazione è positiva o negativa, nessun colore è indice di gioia o dolore, ogni cosa ha un proprio tassello, un proprio posto a compone il grande puzzle-percorso chiamato vita; un vita fatta anche di speranza quando leggiamo: avremo ancora sguardi/ da donare al mondo/ e gesti protesi all’amore/ avremo ancora bocche/ da cui far sgoargare/ come bambini sorrisi. Tanti e svariati sono i temi della raccolta di Stefania di Lino, il cui centro propulsore è però la parola. Una parola viva, attiva, reale e pratica che però, allo stesso tempo diviene “muta” perché caratterizzata da “silenzi necessari” parti integranti di questo grande gioco-percorso a cui tutti siamo invitati a partecipare.
Recensione di Mariano Ciarletta


Ecco il tempo in cui / il ricordo passa / di mano
in mano / passa / come un testimone / (di mano
in mano) / il ricordo perde / cedendo ogni volta /
all’oblio qualcosa / prosciugatezza di parole / quasi
fosse partita pari e patta / che non abbia come posta la
vita / se non fosse che sulla fronte / coli il sudore / di
una guerra mai finita / e di disfatta / e allora saranno
i poeti pessimisti / quelli seri severi / i maledetti / neri
come gatti neri / ad incendiare le notti / a dar fuoco
ai pensieri,
  

Stefania di Lino, La Parola Detta, Milano 2017, edizioni la Vita Felice.



[1] Cinzia marulli, Dalla prefazione in “La Parola Detta” di Stefania di Lino, Milano 2017.